Bisogna saper perdere…

Si dice che una volta Winston Churchill disse che: “gli Italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e le guerre come se fossero partite di calcio” e, tralasciando lo specchietto dell’ironico rovesciamento della sorte avvenuto lo scorso 11 luglio in occasione della tremenda sconfitta inglese sotto il cielo di Wembley che sembrerebbe smentire l’allora primo ministro britannico, si può ammettere che questo in realtà non avesse tutti i torti.

Non a caso, si sente così spesso associare termini come “guerriero” o “gladiatore” alla figura del giocatore di calcio, come questo fosse parte di una vera e propria armata pronta a conquistare quanto più terreno possibile.

Figuriamoci poi se si parla di derby, dove la partita di calcio in se per sé si fonde, e confonde, con il secolare antagonismo cittadino.

Ieri sera, al termine della partita, è stato confermato per l’ennesima volta la doppia faccia di questo spirito calcistico così belligerante ormai tipico di un po’ tutti i campionati europei: da un lato la gioia, e in parallelo la delusione, di quei giocatori, tifosi e allenatori che hanno, letteralmente o meno, lottato per 90 minuti e rotti alla ricerca della vittoria. Emozioni sincere queste, di cui un Sarri con in braccio Olympia da una parte, e un Mourinho che rincuora i suoi giocatori, stretti in un abbraccio sincero, dopo una pesante sconfitta, nel bel mezzo di uno stadio ancora pieno dall’altra, si sono fatti portavoce emblematici.

Dall’altro lato, quello stesso Jose Mourinho, uno tra gli allenatori più vincenti della storia, ieri sera ha dimostrato di  essere ancora leggermente carente per quel che riguarda la fase dell’accettazione della sconfitta.

“Bisogna saper perdere” ci hanno insegnato fin da bambini quando tornavamo delusi dopo aver perso a questo o quel gioco. Insegnamento che pare dover essere ripetuto proprio a chi è fondamentalmente abituato a vincere in continuazione: con i suoi 25 titoli europei, Jose Mourinho al termine della paritita, tra vari commentini nei confronti della squadra avversaria e, soprattutto, di quella arbitrale, non ha fatto altro che trovare scuse e giustificazioni per l’esito della partita, accusando tutti (eccetto i propri difensori ad esempio) di non esser stati sempre all’altezza della situazione, esprimendo quell’agonismo totalizzante di cui parlava Churchill ma dimenticando per qualche istante l’imparzialità e la maturità necessarie per un’analisi della partita corretta e all’insegna della sportività.

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