
7 luglio 2021, qualsiasi giovane tifoso laziale, con l’edizione giornaliera del corriere dello sport in mano, spera di imbattersi nell’annuncio ufficiale di Maurizio Sarri alla Lazio.
In contemporanea, un vulcanico Claudio Lotito, furioso per la situazione verificatasi durante l’assemblea in Lega, ritrova il sorriso in seguito ad una domanda sull’imminente firma di Sarri; un criptico “non lo so”, una risposta che somiglia effettivamente ad un annuncio ufficiale.
Tuttavia, quel giovane ragazzo trova un piccolo trafiletto che racconta di un’eventuale coincidenza che sarebbe potuta accadere di lì a poche ore. Chiamarla coincidenza, in effetti, è molto riduttivo; “corso e ricorso storico vichiano”, si direbbe, per comprendere al meglio quanto sia elevato il momento.
7 luglio 1971, Tommaso Maestrelli viene annunciato come nuovo allenatore della S.S. Lazio. Sarebbe magia, sarebbe un miracolo, sarebbe il destino, sarebbe fortuna, sarebbe storia, che quel giovane tifoso sia superstizioso, credente, fatalista, manzoniano o, per l’appunto, vichiano.
Sarebbero 50 anni esatti, questo è sicuro, 50 anni da un momento storico (non a caso) che risuona nelle orecchie del giovane tifoso come un mito; riecheggiano le parole dei nonni e dei genitori, riecheggiano le parole degli eletti che hanno assistito dal vivo a quei momenti.
Eletti che, come accade in ogni tempo cairologico della storia, non fanno parte dell’elite, tutt’altro: tifano, infatti, una squadra ai limiti del presentabile che l’anno precedente era stata retrocessa senza appello in serie B, insieme al Catania e ad una piccola realtà del sud Italia, il Foggia, arrivata terzultima solo per differenza reti, a causa della sconfitta per 0-3 subita dal Varese.
Il Foggia è guidata da un mite e distinto signore, come verrà sempre definito da amici e conoscenti: Tommaso Maestrelli. Il presidente Lenzini lo sceglie come nuovo allenatore dei biancocelesti, e “Il Maestro” comincia subito la sua opera di costruzione.
Stagione 71-72: “Long John” Giorgio Chinaglia convinto a rimanere anche in serie B, Giuseppe Wilson, il libero della squadra, viene nominato capitano, arriva Martini, torna Oddi e in prima squadra sale definitivamente Vincenzo D’Amico: 2 posto, quanto basta per la promozione in serie A.
Stagione 72-73: “Long John” Giorgio Chinaglia, praticamente venduto dal presidente alla Juventus, non vuole partire, e non parte (si narra che abbia letteralmente appeso alla porta Lenzini), arrivano Garlaschelli, Pulici, Frustalupi e, probabilmente, il vero simbolo della banda Maestrelli: Luciano Re Cecconi, “l’angelo biondo”. Risultato? Sorprendente terzo posto.
“I governi debbon essere conformi alla natura degli uomini governati” – Giovan Battista Vico, Principi di scienza nuova.
Nella testa del giovane lettore, queste parole risuonano insieme ad un’ormai consolidata filastrocca: Pulici Petrelli Martini Wilson Oddi Nanni Garlaschelli Re Cecconi Chinaglia Frustalupi D’Amico. Chiunque ha conosciuto questa squadra, e i suoi membri, ha sempre usato due aggettivi per descriverli: matti, e campioni. E così non può che essere il loro allenatore.
Si perché, leggende o non leggende che siano, tutti sanno che ci sono personalità molto particolari all’interno dello spogliatoio, anzi, degli spogliatoi; la squadra è spaccata in due, si cambia in due stanze diverse, i gruppi durante la settimana litigano e durante gli allenamenti si fronteggiano a vicenda come legioni di soldati.
Una squadra così, in primis, non si gestisce in modo convenzionale, dunque se c’è un problema, la soluzione è sempre la stessa: cena a casa Maestrelli, che diventa ritrovo di serate più vicine a sedute psicologiche che ad amichevoli colloqui. Il mister lascia sfogare il diretto interessato, spesso Giorgio Chinaglia, assiduo frequentatore del luogo, fino a che i problemi non “svaniscono” come per magia. Una tecnica che non viene utilizzata solo a casa, davanti a un bicchiere di vino, no; Maestrelli ci prova anche davanti a 60000 persone, allo stadio Olimpico.
14 aprile 1974; Lazio (prima) contro Verona (terzultimo), partita che sembra già scritta. Al 45esimo, è 1-2, con clamoroso autogol di Oddi prima del duplice fischio. Maestrelli non vuole neanche sentire i suoi giocatori: rientra negli spogliatoi e li rimanda immediatamente in campo davanti a 60000 “psicologi”, che ci mettono poco a capire il loro ruolo nella vicenda. Sono 10 minuti di incessante sostegno, seguiti da 45 minuti di inevitabile dominio: 4-2, e scudetto quasi in tasca.
Ma d’altronde, come già detto in precedenza, questa è una squadra di veri campioni, allenata da un allenatore spaventosamente moderno; la Lazio, infatti, è una delle poche squadre tra i grandi campionati ad aver assimilato e interiorizzato al meglio la rivoluzione calcistica portata dagli olandesi di Michels. La Lazio gioca IL calcio totale.
Difesa aggressiva, terzini che spingono senza paura, squadra che pensa ad occupare lo spazio e non la posizione; pressing in avanti asfissiante, recupero della palla e centravanti che segna, e quanto segna. “Long John” ne fa 24! Per l’epoca, un dato storico, unico e inimitabile.
Dall’altra parte del Mediterraneo, mentre all’Olimpico si consumava la storia, al Camp Nou di Barcellona il genio olandese Michels e il suo figliol prodigo Cruijff, appena giunto in blaugrana, interrompono un digiuno durato decenni e vincono nuovamente la primera divisìon; dalla quattordicesima giornata, il numero 14 e i suoi salgono in vetta e non la mollano più.
Corsi e ricorsi storici, si diceva, e come si fa a negarlo.
12 maggio 1974; Allo stadio olimpico, all’appuntamento con la storia, non poteva non esserci quella piccola realtà pugliese da dove tutto è cominciato. Si decide lo scudetto: se la Lazio batte il Foggia, è campione d’Italia.
1-0, “Long John” su rigore.
La squadra più improbabile della storia del calcio, la storia che si mischia con mito e leggenda, la follia al potere, c’è tutto nella vittoria di questo scudetto. Ma ci sarà anche molto altro.
“Gli uomini prima sono mossi dalla necessità, poi cercano l’utile, poi si beano nel conforto, ancor dopo si trastullano nel piacere, quindi si dissolvono nel lusso e infine impazziscono e sprecano la loro sostanza” – Giovan Battista Vico, Principi di scienza nuova.
Il giovane tifoso sente come un brivido sulla pelle; sa che al suo viaggio tra i ricordi di qualcosa che non vide, manca la fine. E la fine di questa storia è una fine strana, è una fine che con la magia, con i miracoli, con il destino, con la fortuna e con la storia non ha nulla a che vedere.
Tommaso Maestrelli scopre di avere un tumore al fegato a metà campionato 74-75 ed è costretto a fermarsi. Il governo si ammala, i governati impazziscono. “Long John” fugge negli Stati Uniti alla fine della stagione 75-76, chi dice per giocare con Pelè, chi dice per non vedere suo “padre” morire.
2 dicembre 1976; Tommaso Maestrelli muore, portandosi dietro la magia di quella squadra.
Un’altra vicenda, se possibile ancora più tormentata e piena di mistero, deve ancora colpire la squadra. Il suo giocatore più rappresentativo, “l’angelo biondo” Luciano Re Cecconi, muore in circostanze ancora misteriose nella gioielleria di un amico, ucciso dal proprietario stesso. All’epoca dissero che lo stesso Re Cecconi fosse entrato nel negozio e, per scherzo, avesse pronunciato le parole: “Fermi tutti, questa è una rapina”. Tanto sarebbe bastato perché gli togliessero la vita. I testimoni, tra cui il suo compagno di squadra Ghedin, non forniranno mai una versione chiara degli eventi.
E’ la fine della storia, è la fine della Banda Maestrelli.